FERMA L’IMMAGINE
Signore ti prego,
in questi tempi bui
di estrema indifferenza,
ferma l’immagine di me
bambina
che ti guarda.
Aggrappata al bagliore
incandescente
della tua veste bianca.
Più d’ogni umano silenzio s’incrini la parola all’intenzione e libero il pensiero la raccolga in solitudine di spirito dove il sospiro scioglie ogni dolore.
AMETISTE // Dalle fauci imbrunite della parola a monte/ mi rispondeva un gelido silenzio/ Quasichè superato il ponte/ vedessi un guizzo luminoso/ un cerchio bello di parole…/ Che rincorrendomi animatamente/ chiedessero a me che le pensavo/ di unirmi a loro interamente/ per dimostrargli che le amavo/.
Signore ti prego,
in questi tempi bui
di estrema indifferenza,
ferma l’immagine di me
bambina
che ti guarda.
Aggrappata al bagliore
incandescente
della tua veste bianca.
Mio caro Pellegrino,
se l’opera del Duomo
non finiva mai,
la stessa cosa la posso
dire anch’io.
Più vado avanti,
più mi ritrovo indietro
a rimirare.
La Verità mi trova sempre
pronta ad aspettare…
Ma l’altra metà del fiore,
che pure si affatica,
non mi raggiunge mai.
Inzuccherarsi di te,
pralina del mio cuore…
vuol dire,
dolcificare q.b.
la superficie del pensiero.
Sapendo bene a cosa porta,
l’effetto placebo.
Se penso…
se penso a tutte le inutili
lettere,
spedite ai fantasmi del vento.
Sento la pesantezza
della mia mano ferita,
volutamente recisa.
Simile al mondo
che ruota piano,
sopra l’abisso dei sentimenti
lasciati e persi…
chicchi di grano.
La Consuetudine,
è la sorella stanca della Noia.
Si guardano di fronte,
senza gloria.
Si mandano un messaggio…
uno sbadiglio bianco.
Scendono giù di corsa
per risalire in piedi,
come cupi briganti.
Sono i versanti.
Sono giganti,
sono gli uccelli di
pietra nera.
Profili infidi…
profili eterni della montagna.
Niente è più pericoloso,
nella Vita,
se ti sorprendi mentre anneghi,
dentro un mare silenzioso,
che non c’è.
Magari dopo,
ci sarà più Vita…
Ma prima,
devi sentire il tonfo.
Per chi non lo conosce,
il Riserbo
non spende una parola.
Per chi lo riconosce,
il Riserbo
mantiene…la parola.
Mi cade in testa il cielo,
a grappoli di glicine.
Quello che non si dice…
è il luogo delle spine.
Scorre la notte
dentro le nubi rotolanti
della mente.
Un nastro lucido di
velluto nero,
che nel momento non registra
l’inquietudine,
quell’urgenza esplosiva
del pensiero…
Poichè nel sonno,
c’è dato di sapere
solo del sogno.
Se penso a me
clonata,
fissata in un’altra
dimensione,
guardata con stupore.
Sparsa nel Mondo
in tante copie
senza un condono
di riconoscimento.
Senza una febbre attiva…
quale tormento!
Che sia la morte a salvare
quello che di me
rimane.
Che sia il ricordo di me
a farmi ricordare.
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