Più d’ogni umano silenzio s’incrini la parola all’intenzione e libero il pensiero la raccolga in solitudine di spirito dove il sospiro scioglie ogni dolore.
Postfazione a “Le Pareti del Mare”
SULLA POESIA DI MARIA GRAZIA NIGI
Nel panorama della poesia italiana del Secondo Novencento, esaurita la parte sperimentale propria del Gruppo ’63 con i suoi molti intenti pionieristici dissoltisi nel tempo, e chiuso praticamente con ciò il fenomeno delle Avanguardie, la poesia cominciò a vivere un periodo del tutto nuovo e più strettamente invidividuale, riprendendo la lezione poetica di più di mezzo secolo ed imponendovi contenuti forme e stili più o meno consoni all’attualità ed alla libertà delle molteplici diverse concezioni personali, improntate in prevalenza a modulazioni di tipo neoclassico e più di recente postmoderne. Si tratta in fondo d’una specie di revival, per così dire, di minipoetiche individuali, che comprende un notevolissimo numero di poeti più o meno giovani.
Nel periodo iniziale di questo clima composito di classicismo, umanesimo e modernismo s’innesta nel 1981 il primo libro di poesie di Maria Grazia Nigi, dal felice titolo “L’anima controluce”, pubblicato sotto lo pseudonimo di Maria Grazia Caselli dall’Editore Pier Luigi Rebellato di Fossalta di Piave (Venezia). Il libretto si è fatto notare subito per la naturalezza del dettato, per l’eccezionale vivacità di composizione, per la varietà d’interessi personali ed umani con un’inflessione a volte di dolorante malinconia, di particolare sofferta religiosità temperate talora da esplosioni felicemente gioiose. Il leit-motiv di questa raccolta si può rilevare da vari componimenti, ma soprattutto, direi, da uno (La mia vita) che dà un quadro incisivo dello spirito e del momento in cui l’opera fu concepita e del travaglio fisico e morale che sconvolse l’esistenza della poetessa; ne trascrivo solo alcuni efficacissimi versi, che ne danno il tono:
“…rialzati in piedi, raccogli la croce,
guarda su in alto, non senti una voce?
Qual voce mi chiedo: di Cristo o la tua?
Non vedo e non credo, ma dentro ho la luce.
Faccio presente l’ultimo verso, in quanto che ne ritroveremo l’eco insistente (sottinteso o palese) anche fra le righe del successivo lavoro, ma con un risultato decisamente gratificante per la particolare spiritualità di questa peotessa, che da quella “luce” si è sempre sentita dominata: luce che essa sempre ha sentito diffondersi dal profondo e che penetra nella sua anima superando ogni possibilità concessa alla ragione. Per il dovuto confronto fra le due opere, questa sua prima, ricca com’è anche di richiami autobiografici, nella sua pur tumultuosa redazione, offre al lettore una lettura facile, piacevole, godibile nel suo impeto lirico e nel suo gioco dei sentimenti. A dodici anni di distanza dalla pubblicazione del suo primo lavoro Maria Grazia Nigi pubblica ora per i tipi delle Edizioni del Leone (Spinea-Venezia) la sua seconda opera poetica. È una sorpresa perché questa si presenta in un modo del tutto diverso dalla precedente ed è d’una innegabile maturità di concezione e stesura. Il titolo della raccolta è “Le pareti del mare”: lo stesso d’una bella poesia ivi contenuta. È un sogno ad occhi aperti: un sogno di liberazione da un tormento durato a lungo, meditando
“una misura che mi cresce accanto
il sole dell’oriente illuminato
il passo del deserto attraversato
il nome mio perduto e ritrovato”;
e non segna tanto la fine d’un periodo faticato quanto la splendente luminosità d’una speranza, che si sta facendo realtà. Il libro è composto da settantasei poesie: ma il nucleo più importante e che giustifica l’opera è formato da settantaquattro componimenti: gli altri due sono il sopracitato “Le pareti del mare”, e una poesia di tipo diremmo giocoso: ‘Bocca d’osso” (Xa Ed. premio “Città di Montesilvano”). Caratteristiche salienti sono la brevità formale dei pezzi, l’incisività del dettato, la libertà del pensiero. Alla lettura le poesie ivi raccolte hanno spesso una particolare levità e talora o una grazia quasi carezzevole o una forza espressiva che convince sorprende o consola. Nel complesso c’è la tendenza a rinverdire il segno della speranza. Il libro è stato composto su riflessioni per una ricerca sui valori della spiritualità secondo le intenzioni della Nigi che nel componimento posto all’inizio di esso (Silenzio spirituale) indica la metodologia che dovrebbe essere di base nel fare la poesia del tipo qui presentato. L’opera ha una propria originalità; in occasione di meditazioni o ripensamenti coglie momenti di particolare emotività o interiorità trasformandone l’immediata impressione o sensazione in concreta poesia. Vastissimo il campo d’interessi prescelti. Andiamo dalla realtà al sogno o viceversa come suggestioni per ulteriori personali indagini del lettore: passano timori, speranze, illusioni, delusioni, progetti di felicità in notevole varietà. La linea d’un moderno classicismo è d’una prevalenza assoluta: direi una vera conquista della Nigi che potenzia frase e verso ed acquista quel valore di scrittura che contrassegna la poesia.Tre esempi
Tutti i componimenti che io chiamerei “I fiorelli della Signora Nigi”, nascono e crescono come fiori di svariati colori dall’humus fertile dei verdi prati, della speranza. Potrebbero sembrare tanti tasselli di un mosaico di cui non è dato di conoscere la misteriosa visione finale. Ogni fiorello in fondo appare fine a se stesso ma sotto sotto il tutto sembra destinato a sottintendere quella specie di religiosità laica, se si può dire, che la Nigi presentiste in quel verso “ma dentro ho la luce” del primo volume: la razionalità d’un metodo logico semplice (Silenzio spirituale) descritto nella poesia posta all’inizio di questo libro potrebbe stare a significarlo. Mettendo a confronto le due opere, diremo che il “passo” fatto dalla Nigi è invero eccezionale. Scavalcando la sua primitiva tendenza della poesia come racconto ha raggiunto in questo nuovo libro un livello che esprime la tendenza ad avvicinarsi alla classica grecità.
Non è da dire che tutto sia ben chiaro. Ma è certo che attraverso quel tentativo di risalire dal fatto umano all’intuizione di qualcosa di celeste che domina e supera la vita si crea il presupposto d’una volontà tesa ad illuminare le vie del nostro destino.
E per finire con una nota di serena letizia diremo che fra tutti questi fiorelli ce n’è uno che riveste un’importanza singolare, che invero è basilare per quella religiosità laica cara alla poetessa. Dice il fiorello:
“Amico, amico fino in fondo
ho avuto solo Dio.”
Parole grandi. Splendide.
Per chi ha letto il primo libro della Nigi, questa può essere una scoperta di fronte a tante inquietudini, dubbi, incertezze ivi espresse sul concetto di Dio. Il tempo è sempre un po’ medico di fronte anche alle ferite dell’anima ed ha finito pur esso di mettere un po’ di sereno nel cuore di questa poetessa, cui oggi anche la vita sa farle il dono sperato del suo sorriso e della poesia.
Lamberto Verità
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