Fiore di riso
Carissimo,
ti mando nell’aria
un candido fiore di
riso.
Posalo sui
pensieri
sugli affanni
sugli inganni
sulle nuove
brillanti radici.
Più d’ogni umano silenzio s’incrini la parola all’intenzione e libero il pensiero la raccolga in solitudine di spirito dove il sospiro scioglie ogni dolore.
AMETISTE // Dalle fauci imbrunite della parola a monte/ mi rispondeva un gelido silenzio/ Quasichè superato il ponte/ vedessi un guizzo luminoso/ un cerchio bello di parole…/ Che rincorrendomi animatamente/ chiedessero a me che le pensavo/ di unirmi a loro interamente/ per dimostrargli che le amavo/.
Carissimo,
ti mando nell’aria
un candido fiore di
riso.
Posalo sui
pensieri
sugli affanni
sugli inganni
sulle nuove
brillanti radici.
Io appartengo all’altro …
quando discendo.
Quando m’adagio morbida,
al centro d’un foglio
bianco.
Aperta e chiusa
dentro il respiro di un
ventaglio.
Coperta soltanto,
di piccoli cerchietti
di pensiero.
Segni giocosi,
spilli di pianto,
in un tripudio di note
musicali
mentre io canto.
Sentire dal profondo
fogliame del bosco,
anche il fremito dolce
delle ali di un passero.
Un volo leggero che s’alza
da un ramo nascosto,
che io sento vicino
di un passo.
Una scena che trema
nell’oro,
dentro il caldo del
giorno
la natura divina
trascinata dal sogno.
La neve accantonata
agli angoli del cuore
ha gemiti di freddo.
Al centro della profonda
galleria,
il grande fuoco del
cratere è spento.
Portare al riparo
un’immagine buona di te,
che vagamente riconosco.
Sentire la carenza
di questa rara sostanza,
che toglie calcio affettivo
alle mie ossa,
per affrontare le fatiche
di questa estrema corsa.
Nella rotondità
del caso,
Ortensia è sempre
incinta … di un seme
prorompente di parole,
(la sua prole)
che Ortensia manda
in giro per il mondo
a raccontar la vita.
La sera, quando stelle
e macigni
discendono dal buio
per chiuderti gli occhi,
domandati: se nella corsa
del giorno
hai fatto piangere
qualcuno…
per la tua effimera gloria.
Nelle sere di fuoco
s’alza piano nell’aria
una cenere nera,
che disegna sui muri
pofili di stupri.
Le parole bestiali
degli amori sfiniti,
scarniti,violenti.
Di puttane ridenti
gettate in un fosso,
senza niente più addosso.
Come stelle cadenti
divise a metà.
… che la barca del sonno
sia leggera,
per trasportare il peso
più irreale.
Il fine dicitore,
(un po’ trombone)
si sta alzando in piedi
per brindare.
Guardando stralunato
i commensali,
che stanno fermi li senza
fiatare…
Mentr’egli si tormenta
un baffo per trovare la
giusta intonazione.
Tossisce un po’ e avvia
col suo vocione l’ultima
creazione.
Convinta di cotanta luce,
è di per se’ la poesia sovrana,
che se la metti alla finestra
può illuminare anche a distanza
ogni più buia via.
Ogni coscienza, ogni sfrontata
istanza, come la mia.
Dove è richiesto l’assoluto
ascolto senza andar via…
Se penso a me
clonata,
fissata in un’altra
dimensione,
guardata con stupore.
Sparsa nel Mondo
in tante copie
senza un condono
di riconoscimento.
Senza una febbre attiva…
quale tormento!
Che sia la morte a salvare
quello che di me
rimane.
Che sia il ricordo di me
a farmi ricordare.
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